Il grande caseggiato, ormai ridotto ad un rudere,
situato tra la via SS. Annunziata ed il Quartarello, in contrada Laino,
si distingue per la maestosità della mole dominante dalla sua
posizione su tutta la vallata sottostante. Caratteristica é la serie
delle grandi finestre architravate poste al piano superiore, con i
davanzali sporgenti ed una balconata sorretta da lunghe e spesse
mensole sagomate, mentre al piano terra si elevava un robusto portico,
con due grandi arcate ad angolo, provvisto superiormente di terrazza,
riparo per galline ed attrezzi agricoli prima che uno smottamento
susseguente alle intense piogge dell’inverno 1995/96 ne causassero
il crollo.
La porta di ingresso della casa si trova sulla
parete laterale, rispetto alla estesa facciata. Su questa stessa
parete sporge un balcone interessante per l’architrave alto e largo,
contornato da rilievi sagomati e lineari ricavati nell’arenaria. Le
spesse mensole curvilinee ormai non sostengono più l’antico
balcone, ma sono mezzo di appoggio per un folto rampicante.
In un locale adiacente al caseggiato si conservano
parti di un antico frantoio, con una macina, grandi viti di legno e
torchi metallici, a ricordo della grande produzione di olio che, nei
secoli, ha contraddistinto l’agricoltura forzese.
Il vecchio palazzo è stato di proprietà del
Marchese Mauro.
I Mauro
nella zona jonica
Viaggio nelle grandi
famiglie.
Storia post-medievale
iniziata in Sassonia nel XIV sec.
Lo studio delle famiglie nobili corre il rischio di
percorrere moduli di un tema fisso o può avallare anacronistiche
letture neofeudali della storia delle città siciliane.
La sfida, per lo storico, è invece individuare la specificità e
l'autonomia che ogni storia di famiglia possiede e rendere i dati
nuovi che si acquisiscono disponibili per il contesto complessivo
costituito dallo Stato, dalle città e dai gruppi sociali che ne
assumono la guida.
I Mauro arrivano in Italia, a detta del Muños, dalla Sassonia e si
insediano a Venezia, a Genova e a Messina.
Durante il secolo XIV acquisiscono il titolo di milites ed entrano nel
patriziato messinese.
Filippo Mauro ricopre la carica di giurato di Messina (1302) e poi
quella di strategoto nel 1334 e nel 1340; i suoi fratelli Pietro e
Stefano occuperanno la stessa carica rispettivamente nel 1322 e nel
1343.
Il primo documento di cui si conserva traccia archivistica è un
testamento di Antonio «Cavaliero di molto valore», il quale «della
sua grossa facultà ne vincolò» i beni più importanti con il
fedecommesso primogeniale maschile.
Da Messina la famiglia allarga i suoi interessi in altre aree
dell'isola e l'acquisizione di spazi e potere in altri luoghi procede
di pari passo con il consolidamento della propria egemonia nella città
di origine.
Ogni gruppo familiare aristocratico – è un dato noto – si
preoccupa di occupare, per conservare il maggiore potere possibile,
tutti gli spazi che gli si offrono: le cariche politiche, quelle
ecclesiastiche, quelle militari, la gestione dei feudi, tutto ciò che
può procurare prestigio e ricchezza.
I patriziati cittadini con pervicacia cercano di acquisire competenze
e prerogative e accrescono il proprio potere grazie al processo di
integrazione con il baronaggio e ai rapporti tra autorità regia e
autogoverno locale.
Giovanni Mauro riceve da Federico III i proventi della gabella della
Dogana e della Statera di Palermo nel 1371.
Gratiosa fu monaca e badessa del Monastero di S. Gregorio di Messina;
Cola Andrea fu canonico e cantore della chiesa Metropolitana della
stessa città.
L'archivio della famiglia è particolarmente ricco per quanto riguarda
il secolo XVIII.
Gli inventari post mortem documentano l'alto livello di vita, con la
presenza di dipinti, argenteria, tappeti, carrozze, abiti e gioielli.
Dai documenti da noi trovati risulta che alla fine del Seicento,
Giuseppe Mauro sposa Antonia Grimaldi. Il loro figlio, Girolamo, sposa
Diana Ozzes e da questi nasce Pietro che contrae matrimonio nei primi
decenni del Settecento con una donna di Forza d'Agrò, Giuseppa
Natale, la quale è erede di un cospicuo patrimonio che le proviene
dallo zio, abate Giacomo Natale.
La donna possiede beni nel territorio di Forza, Gallodoro, Alì,
Itala.
Credo che con il matrimonio di Pietro gli interessi della famiglia si
spostino più decisamente in quest'area, anche se già i Mauro
possedevano beni nel territorio di Taormina, Castelmola, Giardini e
nella Valle dell'Alcantara.
Dal consistente patrimonio cito solo qualcuno dei beni esistenti nel
territorio di Forza d'Agrò, «un luogo nella contrada S. Biagio
consistente in celsi, vigne...», un altro in contrada Lacco, un altro
ancora in contrada Papasile confinante con il luogo della chiesa del
Crocifisso, un altro in contrada Gabella Di Santo comprendente vigne,
canneto, frutteto, infine altre proprietà nelle contrade Rigolizzi,
Melianò, Lipardo, Cannatello, Spitalio ecc...; diverse abitazioni fra
cui una grande in contrada Serro, una a Melianò, una a Spitalio e un
casino alla marina di S. Alessio.
Conosciamo questi dati perchè alla morte di Pietro, personaggio di
rilievo nella Messina del suo tempo (fu insignito del titolo di
marchese ed ebbe la carica di console nobile della seta negli anni
1767 e 1768), i figli Giacomo e Giuseppe litigano per i beni e
dividono tra loro il consistente patrimonio che comprendeva anche i
beni di Messina e perfino una feluga.
La lite è del 1773 e da questo momento i Mauro si dividono in diversi
rami.
Giuseppe il quale sposa Caterina Brandiner risiede ancora a Forza
perchè troviamo lettere posteriori a quella data scritte dalla
cittadina.
Suo figlio Pietro sposa una donna forzese, Rosa Giardina e da loro
nasce alla fine del secolo XVIII Giovanni Mauro che sarà presidente
del municipio di S. Ferdinando dal luglio a settembre 1860.
Il figlio di costui, di nome Pietro come il nonno, giovanissimo
cospirerà contro i Borboni, partecipando all'impresa dei Mille.
Ho voluto scrivere queste brevi note (che sono frutto di una prima
sommaria ricerca e che spero si concretizzeranno in un lavoro più
ampio) perchè credo che le vicende di questa famiglia costituiscano
una tessera importante della storia della nostra area e perchè credo
che confrontarsi con la storia da parte degli organismi che devono
tutelare il territorio significhi operare investimenti culturali e
simbolici che vanno ben oltre il contingente.
Gli interventi di tutela e restauro sono allo stesso tempo
interpretazioni critiche e fortemente comunicative e devono consegnare
alla collettività esperienze di luoghi che, pur mantenendo viva la
consapevolezza del tempo attuale, accolgano con pienezza il senso
della memoria.
Che ne sarà di palazzo «Mauro» a Forza d'Agrò?
Maria Concetta Calabrese