Seguendo l’alveo della Fiumara d’Agrò, si trova
sulla destra un vallone, lungo cui, a pochi metri di altezza, una
stradina, risalendo tra ulivi ed agrumi profumati di zagara, porta in
cima ad una piccola collina che fa quasi da contrafforte al sovrastante
monte S. Elia. Su tale collina, subito dopo un rudere visibilmente
colorato di bianco e di rosso in alcune sue parti, accanto ad un grande
fabbricato ormai adibito a casa colonica e già costituente il Monastero
dei S.S. Pietro e Paolo d’Agrò, si elevano verso il cielo due cupole
sporgenti dalla terrazza merlata di una costruzione che, a vista
d’occhio, colpisce per l’intrecciarsi dei suoi archi formati da
mattoni e pietre nere vulcaniche ed arenarie.
Si tratta del tempio dedicato ai S.S. Apostoli Pietro
e Paolo, uno dei più importanti monumenti dell’arte siciliana.
La decorazione laterizia di questo tempio ricorda le
costruzioni romaniche dal IV al V secolo che in Sicilia compaiono
finanche al sec. XIII. Girardo il Franco, architetto del tempio, oltre
ad aver curato la policromia della massa muraria, vi aggiunge le lesene,
caratteristica delle decorazioni degli edifici normanni, ereditato dagli
Arabi. La religione islamica, infatti, condannava la rappresentazione di
figure animate temendo che si ricadesse nell’idolatria ed ammetteva
invece decorazioni costituite da fasce, listelli, tralci di ogni maniera
che, tra l’altro, davano luogo a combinazioni infinitamente variate e
conferivano vivacità alla struttura. Così, ciò che rende
particolarmente fantasioso l’esterno del tempio é l’andamento degli
archi intrecciati che ininterrottamente si accavallano l’un l’altro
per tutta la superficie perimetrale della chiesa.
La grande abside, a base rettangolare, é rivolta ad
oriente, fra due altre più piccole a base circolare, e si innalza come
una torre ornata da quattro grossi merli guelfi. L’abside é percorsa
da quattro altissime lesene che formano tre rincassi chiusi da archi a
sesto acuto. In ognuna delle tre absidi si apre una finestra anch’essa
a sesto acuto. I muri perimetrali della chiesa sono costituiti da
mattoni di terracotta posti di taglio e separati da un grosso strato di
calce che cementa i mattoni fra di loro e ne attenua nello stesso tempo
il colore rosso. Tale parte muraria é resa più vivace da altri mattoni
posti a spina di pesce, da conci di lava o di pomice nera e da altri di
calcare bianco o di marmo rosso delle cave della vicina Taormina.
L’ingresso del tempio é rivolto a ponente ed é
caratteristico per la sua vivacissima policromia. L’archivolto
é a sesto acuto ed é costituito da due semicerchi realizzati mediante
blocchi di pietra bianca, di pietra nera e di pietra rossa alternati.
Nel timpano, tra l’architrave e l’archivolto, risalta una croce
greca, in rosso e bianco su fondo rosso, inscritta in un cerchio.
L’insieme di tutte queste tinte, rosso, bianco e nero, per niente
scolorite dalla patina dei secoli, realizza una policromia veramente
interessante. Sull’architrave é intagliata, in lingua greca, una
iscrizione la cui traduzione é la seguente:
+ Fu ricostruito questo tempio dei Santi Apostoli
Pietro e Paolo da Teostoricto categumeno tauromenita a proprie spese. Si
ricordi di lui il Signore. Anno 6680.
Il capomastro Girardo il Franco.
Spesso le date, nei diplomi normanni, sono indicate a
partire dalla creazione del mondo che si dice sia avvenuta nell’anno
5508 a.C. L’anno 6680 dell’epigrafe corrisponde perciò al 1172 d.C.
L’interno della chiesa, che é a croce latina con
tre navate e tre absidi e misura 11,30 x 21,25 metri, al contrario del
suo esterno é privo di decorazioni. Le quattro colonne che sostengono
le sei arcate del tempio, sono di granito ed hanno un diametro alquanto
grande in rapporto alla loro altezza. La chiesa ha due cupole: la più
grande, sulla navata centrale, si erge su un tamburo ottagonale;
l’altra, in asse con la prima, della quale é pure simile, si trova al
centro del transetto. Entrambe le cupole internamente sono intonacate di
bianco ed esternamente di rosso.
La Chiesa dei S.S. Pietro e Paolo d’Agrò, assieme
a quelle del circondario di Forza d’Agrò, era agli ordini
dell’Archimandrita di Messina. Nel tempio dedicato ai due S.S.
Apostoli, i monaci basiliani hanno esercitato per otto secoli i propri
riti religiosi in lingua greca. Su uno spuntone roccioso a ridosso della
sponda sinistra del Fiume d’Agrò, l’Abbazia si estendeva e si
esaltava col suo chiostro, di cui rimane ancora traccia nelle sei grande
arcate a tutto sesto di mattoni rossi, e le camere del primo piano
sorrette da solai con travi e mensole riccamente scolpite.
Nel corso del XVI secolo il Tempio dei S.S. Pietro e
Paolo ha subito un buon restauro, non abbastanza comunque da modificare
le semplici e delicate linee architettoniche. In particolare sono state
pitturate di bianco le pareti, "imbrattate" le cupolette e
cambiato il soffitto.
I monaci hanno abbandonato ad un certo punto il
vecchio convento trasferendosi in una nuova costruzione, più a valle,
meglio esposta e più grande. Come risulta da un documento di Re
Ferdinando IV, i monaci basiliani del Monastero dei S.S. Pietro e Paolo
d’Agrò, nel 1794, si sono trasferiti a Messina. Una lapide, posta in
cima al portone principale della nuova residenza sita nell’attuale via
1° Settembre n. 85, un tempo parte della sede arcivescovile ed oggi un
comune palazzo, ricorda l’avvenimento. Non si capisce se il motivo
vero del trasferimento sia legato all’insalubrità dell’aria ed al
terreno franoso, come riportato nella lapide, o piuttosto al desiderio
di inurbarsi.